La figura storica di Edoardo Perroncito (*)
prof. Marco Galloni presidente dell'Archivio Scientifico e Tecnologico dell'Università di Torino
Nell'estrema periferia torinese, al confine con Collegno, una breve via è intitolata ad Edoardo Perroncito, medico veterinario, patologo e parassitologo. La modestia di tale celebrazione è forse in parte mitigata dalla considerazione che la viuzza gemella e parallela è dedicata nientemeno che a Pasteur. Si trovano così avvicinati dalla toponomastica due scienziati che portarono importanti contributi alla medicina senza essere medici - chimico fu infatti il francese e zooiatra il Nostro - che collaborarono fra loro e furono amici.
Edoardo Bellarmino Perroncito nacque a Viale d'Asti il 10 marzo 1847 da Luigi, calzolaio, e Lucia Pastrone, sarta, ed ebbe quattro fratelli ed una sorella. Al termine degli studi secondari seguiti ad Asti, vinse un concorso per un posto gratuito alla Università di Torino e si iscrisse alla Regia Scuola Superiore di Medicina Veterinaria.
Dopo la laurea, brillantemente conseguita a venti anni, fu dapprima veterinario municipale a Torino ma dopo breve tempo entrava in qualità di assistente nell'Istituto di Anatomia Patologica e Patologia Generale, diretto dal prof. Sebastiano Rivolta. Nel 1873 il Perroncito vinse il concorso bandito per trovare un successore al Rivolta, nel frattempo passato alla Università di Pisa e l'anno successivo, a soli 27 anni, veniva nominato professore ordinario di Anatomia Patologica. Tale fu il brillante inizio di una lunga e luminosa carriera di insegnante e di ricercatore che lo vide per mezzo secolo sempre presente nella Scuola di Veterinaria torinese.
Questa scuola aveva già celebrato nel 1869 il suo 1° centenario, essendo la prima fondata in Italia e la quarta nel mondo, dopo quelle di Lione, Alfort e Vienna. Complesse vicende avevano fatto migrare la scuola da Venaria Reale a Chivasso a Fossano, ma nella seconda metà del XIX secolo essa era ormai stabile a Torino, e, sotto la guida di personaggi quali Carlo Lessona, Felice Perosino e Giovanni Battista Ercolani, andava assumendo sempre maggior prestigio. In questo ambiente, sicuramente stimolante, il Perroncito potè iniziare le proprie ricerche in un campo, come la patologia animale, che, seguendo il contemporaneo tumultuoso sviluppo di tutte le branche della scienza, era in profonda evoluzione.
Al patologo veterinario si presentava l'occasione di affrontare con nuove e più precise tecniche lo studio delle manifestazioni morbose e delle loro cause. L'attività del Perroncito si orientò da un lato verso studi di anatomia patologica, dall'altro verso indagini di tipo microbiologico e parassitologico.
Il carattere che accomunava tutte le sue ricerche era " l'attitudine mentale... di utilmente orientare l'indagine scientifica in correlazione con una lacuna o con un bisogno della pratica... " come sottolineò il Ghisleni. Erano anni, quelli, in cui gli animali da reddito, oltre che per il valore zootecnico, erano preziosi per il lavoro che svolgevano, non ancora sostituiti dalle macchine. Al Perroncito va inoltre riconosciuto il merito di una costante attenzione alle pratiche esigenze dell'igiene, rurale ed urbana, della zootecnia e della agricoltura.
La fama mondiale che accompagnò il nome del veterinario astigiano fu principalmente legata ai risultati da lui ottenuti nel campo parassitologico. Le sue ricerche in tale ambito, il suo prestigio ed il suo entusiasmo lo avevano portato nel 1879 ad assumere anche la cattedra di Parassitologia, la prima istituita in Italia, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino. Questo evento, che sancì la nascita della parassitologia come scienza a sé, disciplina nata dalla collaborazione fra la patologia e la zoologia, fu commemorato, in occasione del l° centenario, dal prof. Balbo.
Il carattere precipuo di questa materia, intrinsecamente interdisciplinare, corrispondeva al carattere proprio del Perroncito, scienziato aperto ai confronti, attento ai contributi stimolanti anche se insoliti, portato alla comparazione. Di ciò fu testimonianza l'ampia gamma di metodiche di ricerca che egli adottò indagando sui temi più disparati e sugli organismi, animali e vegetali, più diversi. Ricordiamo infatti che il Perroncito pubblicò, fra le tante, anche ricerche sulla microbiologia del vino, della birra e delle acque, sulla patologia vegetale, sulle malattie e l'allevamento del baco da seta e dell'ape. Ma fu da uno studio parassitologico in campo umano che gli vennero le maggiori soddisfazioni ed i più importanti riconoscimenti.
In quello stesso anno 1879, infatti, gli fu richiesto di studiare la malattia che colpiva un grandissimo numero di operai occupati nello scavo della galleria del San Gottardo. Si trattava di una grave forma di anemia che aveva già ucciso migliaia di minatori e che, in quel momento, aveva causato il ricovero negli ospedali di Lombardia e Piemonte di oltre 5000 uomini. Fino ad allora non esisteva alcuna possibilità di cura né si conoscevano le cause di tale affezione per la quale si supponeva il concorso di sfavorevoli fattori ambientali ed anche l'azione tossica dei gas prodotti dalla esplosione delle mine. In realtà la situazione ambientale della galleria del Gottardo era terribile, caratterizzata dal continuo ristagno di acque, da temperatura elevata e dalla completa mancanza di precauzioni igieniche. Durante l'autopsia di un minatore morto di anemia, il Perroncito poté osservare nel duodeno la presenza di oltre 1500 piccoli vermi aderenti alla mucosa. Si trattava di una specie di nematodi già descritta nel 1843 da Angelo Dubini col nome di Ancylostonia duodenalis ma non ancora posta in relazione diretta con la malattia che colpiva tipicamente i minatori ed altre categorie di lavoratori operanti abitualmente in ambienti umidi. Il Perroncito, una volta diagnosticato l'organismo causa della anemia, proseguì rapidamente ed intensamente la sua ricerca individuando una tecnica precisa per far sviluppare in puro il verme a partire dalle uova emesse con le feci dai pazienti. Quindi, sull'abbondante materiale a disposizione, iniziò a sperimentare l'azione del calore e di una lunga serie di sostanze chimiche e di estratti vegetali. lndividuò in questo modo la particolare azione vermicida dell'estratto etereo di felce maschio che provò subito sui suoi pazienti e che suggerì anche ad altri medici impegnati in analoghe ricerche.
Fu un successo: con tale trattamento tutti i nematodi presenti nel duodeno, che compivano una gravissima azione di spoliazione nutrendosi del sangue estratto dai vasi delle pareti intestinali, venivano espulsi ed i pazienti ritornavano in breve tempo in ottima salute. Sempre da tali ricerche scaturirono suggerimenti per efficaci azioni di bonifica delle aree infestate e soprattutto per una sicura prevenzione basata sul rispetto di rigorose norme igieniche.
Da quel momento migliaia di malati in Italia ma anche in altre zone minerarie europee, in Francia, Belgio, Germania, Ungheria, furono salvati ed in pochi anni la terribile malattia dei minatori divenne, con le parole del Perroncito stesso " una questione risolta ". La riprova più evidente fu la totale assenza di tale patologia riscontrata, pochi anni dopo, durante i lavori del traforo del Sempione. Non fu, come si vede, una scoperta nuova ma l'applicazione di un metodo rigoroso ed una attenta considerazione dei risultati ottenuti dalla sperimentazione in laboratorio, alla base del clamoroso risultato che tanta gloria diede all'ancor giovane professore.
Se questa fu senz'altro la tappa più importante della carriera scientifica del Perroncito, altre ne seguirono di non meno valide, in particolare legate alle attività del Nostro nel campo della microbiologia, dell'igiene e della profilassi.Erano quelli gli anni in cui Pasteur otteneva una efficace profilassi anticarbonchiosa mediante vaccinazione con bacilli la cui patogenicità era stata attenuata con una opportuna esposizione al calore. Il Governo italiano incaricò ufficialmente il Perroncito di seguire e valutare tali esperienze ed egli, dopo essersi recato in Francia, fu tanto convinto della validità di tale metodica da fondare a Torino nel 1887 il " Laboratorio Pasteur " per la produzione di
vaccino anticarbonchioso. In seguito il laboratorio fu trasferito a Roma ed al Perroncito rimase la presidenza onoraria, ma una ulteriore battaglia contro una malattia gravissima per il bestiame e gli uomini era stata vinta.
La collaborazione scientifica con Pasteur, sorretta da reciproca stima ed amicizia, proseguì anche in studi sul colera dei polli e la rabbia.
In tempi di così grandi evoluzioni scientifiche, quasi rivoluzioni, non può stupire che taluni faticassero ad accettare le innovazioni proposte; in alcuni casi, però, come ad esempio per le vaccinazioni, vi furono accese ostilità nello stesso ambiente sanitario ed il Perroncito si impegnò in una efficace campagna di stampa condotta sulle pagine della " Gazzetta del Popolo " di Torino insieme al giornalista Bottero.
Anche in altre occasioni dovette far ricorso alla sua " vis polemica " per sostenere le proprie opinioni o per rivendicare la precedenza delle proprie scoperte. Ad esempio nel 1901 a Londra, in occasione del Congresso Internazionale sulla tubercolosi, ricordò di aver descritto già nel 1868 la identità istologica nel bovino e nell'uomo delle lesioni tipiche di tale patologia; dovette poi difendere la priorità della diagnosi e della terapia dell'anchilostomiasi usurpate dal prof. De Renzi dell'Università di Napoli.
Abbiamo già ricordato che il Perroncito non limitò i suoi studi all'uomo ed ai classici animali di interesse veterinario ma dedicò molta attenzione alle malattie ed alle tecniche di allevamento di bachi da seta ed api. Oltre che in pubblicazioni scientifiche, la sua passione per questi temi si concretizzò nella creazione nel 1884 di un Museo Bacologico, trasformato poi nel 1911 in Museo di Apicoltura e Bachicoltura, ospitato nelle stanze della "Villa Pasteur " posseduta dal professore a Cavoretto. Questo museo venne chiuso alla fine degli anni '20 ma per lungo tempo fu un vivace centro di studio e propaganda.
La lunga ed intensa carriera di docente universitario ebbe termine nel novembre del 1923 allorché fu collocato a riposo per raggiunti limiti di età. La degna celebrazione di tale evento fu organizzata da un comitato cui diedero l'adesione autorità e scienziati italiani e stranieri. In quel 18 novembre, il Perroncito fu festeggiato calorosamente dagli allievi, dai colleghi ed ebbe innumerevoli attestazioni di stima da tutto il mondo. In quella occasione il prof. Voronoff di Parigi tenne una conferenza sulle sue allora celebri ricerche sul ringiovanimento mediante trapianto di testicoli, esperienze condotte anche sull'uomo usando scimmie come donatori. In seguito a tali onoranze si costituì una fondazione "Edoardo Perroncito", riconosciuta come ente morale nel 1925, con lo scopo di conferire borse di studio a giovani laureati in veterinaria.
Ben prima dei riconoscimenti ottenuti in occasione del suo giubileo, il Perroncito aveva già conseguito moltissime testimonianze della considerazione dei suoi contemporanei, il cui lungo elenco si può desumere dalla lettura delle molte commemorazioni che gli furono dedicate alla sua morte. Egli fu presidente della Accademia di Medicina di Torino, della Reale Società ed Accademia Veterinaria Italiana, fu anche presidente onorario della Societé Zoologique de France che diede un pranzo in suo onore, nel 1902, di cui ci è rimasto il curioso menù recante il ritratto del Nostro incorniciato da una ghirlanda di vermi parassiti. Presiedette anche molti congressi internazionali di medicina, di veterinaria e di apicoltura. Il Perroncito fu anche per quattro anni, dal 1898 al 1902, direttore della Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Torino, occupando così la carica che era stata, anni prima, del suo cognato prof. Giulio Bizzozero, il celebre patologo che legò il proprio nome alla scoperta delle piastrine nel sangue e che fu dal Nostro commemorato alla Accademia di Agricoltura quando morì prematuramente nel 1901. Furono attribuiti anche al celebre parassitologo nel 1882 il premio Balbi-Vallier del Regio Istituto Veneto di Scienze e lettere e nel 1931, a testimonianza di quanta stima ancora godesse anche anni dopo il ritiro dalla vita accademica, il premio Montyon della Accademia delle Scienze di Francia, di cui era membro corrispondente. La Francia lo onorò anche conferendogli la Legion d'Onore e le Palme Accademiche. Ricevette la laurea honoris causa dalla Università di Modena, dalla Università Regina Vittoria di Manchester e, nel 1911, dall'Università Imperiale di Vienna; in quest'ultima occasione tenne, per concessione straordinaria, una conferenza in lingua italiana.
Potendo scegliere fra un gran numero di analoghe celebrazioni, ci piace ricordare il viaggio che compì in Argentina nel 1910, uno dei soli quattro invitati ufficiali italiani alle feste centenarie colombiane; in quella occasione,
narra C. Barile, egli fu letteralmente portato in trionfo dagli studenti dell'Ateneo di Buenos Ayres.
Come è naturale, il Perroncito subì anche alcune critiche, forse non del tutto infondate, soprattutto per gli aspetti metodologici del suo lavoro. Scriveva il prof. Bertarelli nella sua commemorazione di Camillo Golgi: "...uno spirito originale e dotato di intuito, senza dubbio genialoide anche se male edotto in rigide metodiche - Edoardo Perroncito - creava ex novo la nostra parassitologia". Il prof. Leclainche notò: "La microbie le passionne autant que la parasitologie; mais sans doute pour n'avoir pas été initié d'emblée à ses techniques, il n'obtient que des résultats partiels" e lo salutò come uno degli ultimi rappresentanti della " grande période " della scienza ottocentesca. Appare anche implicito talora un giudizio negativo sulla eccessiva vastità degli interessi del Nostro, sottintendendo che la quantità non potesse che andare a discapito della qualità.
Riteniamo opportuno però ricordare quanto scrisse il prof. Mantovani proprio riguardo al metodo: " La insufficienza dei mezzi tecnici a disposizione del Nostro lo hanno talvolta portato ad errori interpretativi. Ma anche in queste circostanze il Perroncito ha sempre fondato le proprie deduzioni sopra una vastissima serie di prove sperimentali così da offrirci ancora oggi la possibilità di individuare, attraverso la lettura dei protocolli delle esperienze, la vera interpretazione della natura e della origine di un processo morboso che al Nostro era sfuggita".
Se è vero che in molte sue pubblicazioni il Perroncito descrisse diffusamente le modalità delle sperimentazioni effettuate, appare ancor più grave la perdita, durante l'ultima guerra, di tutta la documentazione originale rimasta all'Università, che avrebbe certamente costituito una enorme miniera di dati tutti da riscoprire. E' tuttora invece conservata la vasta collezione parassitologica di oltre 700 esemplari.
La vita familiare gli riserbò alcuni grandi dolori: nel 1890 perse il secondogenito Mario, di sei anni, malato di tubercolosi e nel 1929, per la stessa causa, morì l'altro figlio Aldo, all'età di 45 anni. Aveva, questi, seguito una rapida e brillante carriera universitaria che l'aveva portato a divenire ordinario di Patologia Generale ed a succedere nella cattedra di Pavia a Camillo Golgi, premio Nobel per la medicina, di cui aveva sposato la figlia Anna.
Dopo la morte della prima moglie, il Perroncito si risposò con una egiziana di nome Mirte, ma rimase vedovo per la seconda volta. E' curiosa e tragica la vicenda legata all'eredità lasciata dalla seconda moglie: la nave che trasportava in Italia quei bauli che contenevano anche preziose azioni del canale di Suez, affondò e perì il giovane avvocato che si era recato in Egitto per curare l'operazione.
La poliedrica personalità del Perroncito trovò modo di affermarsi anche in altri campi della vita civile e culturale del suo tempo. Per molti anni fu sindaco di Viale d'Asti fino a divenire decano dei sindaci della provincia di Alessandria, che fino al 1935 comprendeva anche Asti. Venne anche eletto consigliere comunale a Torino, fu massone e presiedette nel 1918 il comitato per l'erezione a Torino del monumento a Mazzini.
Diede molte prove di generosità e nobiltà d'animo: offrì la " Villa Pasteur " di Cavoretto per ospitare i profughi ed i feriti dei terremoti di Messina e di Avezzano e, durante la prima guerra mondiale, la trasformò in un ricovero per figli di richiamati alle armi poveri. Di questa vicenda ci rimane la testimonianza di un breve articolo a firma Altea, apparso sul numero del 20 agosto 1915 della rivista "La donna" organo dell'opera femminile italiana per la guerra, in esso appaiono anche foto del professore dalla caratteristica lunga barba bianca, circondato dai bambini, nell'atto di ricevere nella sua villa un gruppo di importanti visitatori.
Ricordiamo ancora che nutrì sempre un grande amore per la letteratura classica, particolarmente dantesca e che fu presidente del comitato di Torino della società "Dante Alighieri".
Morto nel 1946 riposa nel cimitero di Pavia accanto al figlio Aldo; ormai rarissime sono le persone che ne serbano un ricordo personale e che, accanto alle memorie più ufficiali, possono ancora descriverne qualche tratto vivo ed umano quale il formidabile appetito o l'abitudine, mai abbandonata, di calzare d'inverno in qualsiasi occasione grossi zoccoli di legno o il carattere arguto e a tratti quasi fanciullesco di un uomo che aveva vissuto intensamente una esistenza davvero fuori dal comune.
(*) Testo pubblicato su cortese concessione di Marco Galloni.
Edoardo Bellarmino Perroncito nacque a Viale d'Asti il 10 marzo 1847 da Luigi, calzolaio, e Lucia Pastrone, sarta, ed ebbe quattro fratelli ed una sorella. Al termine degli studi secondari seguiti ad Asti, vinse un concorso per un posto gratuito alla Università di Torino e si iscrisse alla Regia Scuola Superiore di Medicina Veterinaria.
Dopo la laurea, brillantemente conseguita a venti anni, fu dapprima veterinario municipale a Torino ma dopo breve tempo entrava in qualità di assistente nell'Istituto di Anatomia Patologica e Patologia Generale, diretto dal prof. Sebastiano Rivolta. Nel 1873 il Perroncito vinse il concorso bandito per trovare un successore al Rivolta, nel frattempo passato alla Università di Pisa e l'anno successivo, a soli 27 anni, veniva nominato professore ordinario di Anatomia Patologica. Tale fu il brillante inizio di una lunga e luminosa carriera di insegnante e di ricercatore che lo vide per mezzo secolo sempre presente nella Scuola di Veterinaria torinese.
Questa scuola aveva già celebrato nel 1869 il suo 1° centenario, essendo la prima fondata in Italia e la quarta nel mondo, dopo quelle di Lione, Alfort e Vienna. Complesse vicende avevano fatto migrare la scuola da Venaria Reale a Chivasso a Fossano, ma nella seconda metà del XIX secolo essa era ormai stabile a Torino, e, sotto la guida di personaggi quali Carlo Lessona, Felice Perosino e Giovanni Battista Ercolani, andava assumendo sempre maggior prestigio. In questo ambiente, sicuramente stimolante, il Perroncito potè iniziare le proprie ricerche in un campo, come la patologia animale, che, seguendo il contemporaneo tumultuoso sviluppo di tutte le branche della scienza, era in profonda evoluzione.
Al patologo veterinario si presentava l'occasione di affrontare con nuove e più precise tecniche lo studio delle manifestazioni morbose e delle loro cause. L'attività del Perroncito si orientò da un lato verso studi di anatomia patologica, dall'altro verso indagini di tipo microbiologico e parassitologico.
Il carattere che accomunava tutte le sue ricerche era " l'attitudine mentale... di utilmente orientare l'indagine scientifica in correlazione con una lacuna o con un bisogno della pratica... " come sottolineò il Ghisleni. Erano anni, quelli, in cui gli animali da reddito, oltre che per il valore zootecnico, erano preziosi per il lavoro che svolgevano, non ancora sostituiti dalle macchine. Al Perroncito va inoltre riconosciuto il merito di una costante attenzione alle pratiche esigenze dell'igiene, rurale ed urbana, della zootecnia e della agricoltura.
La fama mondiale che accompagnò il nome del veterinario astigiano fu principalmente legata ai risultati da lui ottenuti nel campo parassitologico. Le sue ricerche in tale ambito, il suo prestigio ed il suo entusiasmo lo avevano portato nel 1879 ad assumere anche la cattedra di Parassitologia, la prima istituita in Italia, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino. Questo evento, che sancì la nascita della parassitologia come scienza a sé, disciplina nata dalla collaborazione fra la patologia e la zoologia, fu commemorato, in occasione del l° centenario, dal prof. Balbo.
Il carattere precipuo di questa materia, intrinsecamente interdisciplinare, corrispondeva al carattere proprio del Perroncito, scienziato aperto ai confronti, attento ai contributi stimolanti anche se insoliti, portato alla comparazione. Di ciò fu testimonianza l'ampia gamma di metodiche di ricerca che egli adottò indagando sui temi più disparati e sugli organismi, animali e vegetali, più diversi. Ricordiamo infatti che il Perroncito pubblicò, fra le tante, anche ricerche sulla microbiologia del vino, della birra e delle acque, sulla patologia vegetale, sulle malattie e l'allevamento del baco da seta e dell'ape. Ma fu da uno studio parassitologico in campo umano che gli vennero le maggiori soddisfazioni ed i più importanti riconoscimenti.
In quello stesso anno 1879, infatti, gli fu richiesto di studiare la malattia che colpiva un grandissimo numero di operai occupati nello scavo della galleria del San Gottardo. Si trattava di una grave forma di anemia che aveva già ucciso migliaia di minatori e che, in quel momento, aveva causato il ricovero negli ospedali di Lombardia e Piemonte di oltre 5000 uomini. Fino ad allora non esisteva alcuna possibilità di cura né si conoscevano le cause di tale affezione per la quale si supponeva il concorso di sfavorevoli fattori ambientali ed anche l'azione tossica dei gas prodotti dalla esplosione delle mine. In realtà la situazione ambientale della galleria del Gottardo era terribile, caratterizzata dal continuo ristagno di acque, da temperatura elevata e dalla completa mancanza di precauzioni igieniche. Durante l'autopsia di un minatore morto di anemia, il Perroncito poté osservare nel duodeno la presenza di oltre 1500 piccoli vermi aderenti alla mucosa. Si trattava di una specie di nematodi già descritta nel 1843 da Angelo Dubini col nome di Ancylostonia duodenalis ma non ancora posta in relazione diretta con la malattia che colpiva tipicamente i minatori ed altre categorie di lavoratori operanti abitualmente in ambienti umidi. Il Perroncito, una volta diagnosticato l'organismo causa della anemia, proseguì rapidamente ed intensamente la sua ricerca individuando una tecnica precisa per far sviluppare in puro il verme a partire dalle uova emesse con le feci dai pazienti. Quindi, sull'abbondante materiale a disposizione, iniziò a sperimentare l'azione del calore e di una lunga serie di sostanze chimiche e di estratti vegetali. lndividuò in questo modo la particolare azione vermicida dell'estratto etereo di felce maschio che provò subito sui suoi pazienti e che suggerì anche ad altri medici impegnati in analoghe ricerche.
Fu un successo: con tale trattamento tutti i nematodi presenti nel duodeno, che compivano una gravissima azione di spoliazione nutrendosi del sangue estratto dai vasi delle pareti intestinali, venivano espulsi ed i pazienti ritornavano in breve tempo in ottima salute. Sempre da tali ricerche scaturirono suggerimenti per efficaci azioni di bonifica delle aree infestate e soprattutto per una sicura prevenzione basata sul rispetto di rigorose norme igieniche.
Da quel momento migliaia di malati in Italia ma anche in altre zone minerarie europee, in Francia, Belgio, Germania, Ungheria, furono salvati ed in pochi anni la terribile malattia dei minatori divenne, con le parole del Perroncito stesso " una questione risolta ". La riprova più evidente fu la totale assenza di tale patologia riscontrata, pochi anni dopo, durante i lavori del traforo del Sempione. Non fu, come si vede, una scoperta nuova ma l'applicazione di un metodo rigoroso ed una attenta considerazione dei risultati ottenuti dalla sperimentazione in laboratorio, alla base del clamoroso risultato che tanta gloria diede all'ancor giovane professore.
Se questa fu senz'altro la tappa più importante della carriera scientifica del Perroncito, altre ne seguirono di non meno valide, in particolare legate alle attività del Nostro nel campo della microbiologia, dell'igiene e della profilassi.Erano quelli gli anni in cui Pasteur otteneva una efficace profilassi anticarbonchiosa mediante vaccinazione con bacilli la cui patogenicità era stata attenuata con una opportuna esposizione al calore. Il Governo italiano incaricò ufficialmente il Perroncito di seguire e valutare tali esperienze ed egli, dopo essersi recato in Francia, fu tanto convinto della validità di tale metodica da fondare a Torino nel 1887 il " Laboratorio Pasteur " per la produzione di
vaccino anticarbonchioso. In seguito il laboratorio fu trasferito a Roma ed al Perroncito rimase la presidenza onoraria, ma una ulteriore battaglia contro una malattia gravissima per il bestiame e gli uomini era stata vinta.
La collaborazione scientifica con Pasteur, sorretta da reciproca stima ed amicizia, proseguì anche in studi sul colera dei polli e la rabbia.
In tempi di così grandi evoluzioni scientifiche, quasi rivoluzioni, non può stupire che taluni faticassero ad accettare le innovazioni proposte; in alcuni casi, però, come ad esempio per le vaccinazioni, vi furono accese ostilità nello stesso ambiente sanitario ed il Perroncito si impegnò in una efficace campagna di stampa condotta sulle pagine della " Gazzetta del Popolo " di Torino insieme al giornalista Bottero.
Anche in altre occasioni dovette far ricorso alla sua " vis polemica " per sostenere le proprie opinioni o per rivendicare la precedenza delle proprie scoperte. Ad esempio nel 1901 a Londra, in occasione del Congresso Internazionale sulla tubercolosi, ricordò di aver descritto già nel 1868 la identità istologica nel bovino e nell'uomo delle lesioni tipiche di tale patologia; dovette poi difendere la priorità della diagnosi e della terapia dell'anchilostomiasi usurpate dal prof. De Renzi dell'Università di Napoli.
Abbiamo già ricordato che il Perroncito non limitò i suoi studi all'uomo ed ai classici animali di interesse veterinario ma dedicò molta attenzione alle malattie ed alle tecniche di allevamento di bachi da seta ed api. Oltre che in pubblicazioni scientifiche, la sua passione per questi temi si concretizzò nella creazione nel 1884 di un Museo Bacologico, trasformato poi nel 1911 in Museo di Apicoltura e Bachicoltura, ospitato nelle stanze della "Villa Pasteur " posseduta dal professore a Cavoretto. Questo museo venne chiuso alla fine degli anni '20 ma per lungo tempo fu un vivace centro di studio e propaganda.
La lunga ed intensa carriera di docente universitario ebbe termine nel novembre del 1923 allorché fu collocato a riposo per raggiunti limiti di età. La degna celebrazione di tale evento fu organizzata da un comitato cui diedero l'adesione autorità e scienziati italiani e stranieri. In quel 18 novembre, il Perroncito fu festeggiato calorosamente dagli allievi, dai colleghi ed ebbe innumerevoli attestazioni di stima da tutto il mondo. In quella occasione il prof. Voronoff di Parigi tenne una conferenza sulle sue allora celebri ricerche sul ringiovanimento mediante trapianto di testicoli, esperienze condotte anche sull'uomo usando scimmie come donatori. In seguito a tali onoranze si costituì una fondazione "Edoardo Perroncito", riconosciuta come ente morale nel 1925, con lo scopo di conferire borse di studio a giovani laureati in veterinaria.
Ben prima dei riconoscimenti ottenuti in occasione del suo giubileo, il Perroncito aveva già conseguito moltissime testimonianze della considerazione dei suoi contemporanei, il cui lungo elenco si può desumere dalla lettura delle molte commemorazioni che gli furono dedicate alla sua morte. Egli fu presidente della Accademia di Medicina di Torino, della Reale Società ed Accademia Veterinaria Italiana, fu anche presidente onorario della Societé Zoologique de France che diede un pranzo in suo onore, nel 1902, di cui ci è rimasto il curioso menù recante il ritratto del Nostro incorniciato da una ghirlanda di vermi parassiti. Presiedette anche molti congressi internazionali di medicina, di veterinaria e di apicoltura. Il Perroncito fu anche per quattro anni, dal 1898 al 1902, direttore della Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Torino, occupando così la carica che era stata, anni prima, del suo cognato prof. Giulio Bizzozero, il celebre patologo che legò il proprio nome alla scoperta delle piastrine nel sangue e che fu dal Nostro commemorato alla Accademia di Agricoltura quando morì prematuramente nel 1901. Furono attribuiti anche al celebre parassitologo nel 1882 il premio Balbi-Vallier del Regio Istituto Veneto di Scienze e lettere e nel 1931, a testimonianza di quanta stima ancora godesse anche anni dopo il ritiro dalla vita accademica, il premio Montyon della Accademia delle Scienze di Francia, di cui era membro corrispondente. La Francia lo onorò anche conferendogli la Legion d'Onore e le Palme Accademiche. Ricevette la laurea honoris causa dalla Università di Modena, dalla Università Regina Vittoria di Manchester e, nel 1911, dall'Università Imperiale di Vienna; in quest'ultima occasione tenne, per concessione straordinaria, una conferenza in lingua italiana.
Potendo scegliere fra un gran numero di analoghe celebrazioni, ci piace ricordare il viaggio che compì in Argentina nel 1910, uno dei soli quattro invitati ufficiali italiani alle feste centenarie colombiane; in quella occasione,
narra C. Barile, egli fu letteralmente portato in trionfo dagli studenti dell'Ateneo di Buenos Ayres.
Come è naturale, il Perroncito subì anche alcune critiche, forse non del tutto infondate, soprattutto per gli aspetti metodologici del suo lavoro. Scriveva il prof. Bertarelli nella sua commemorazione di Camillo Golgi: "...uno spirito originale e dotato di intuito, senza dubbio genialoide anche se male edotto in rigide metodiche - Edoardo Perroncito - creava ex novo la nostra parassitologia". Il prof. Leclainche notò: "La microbie le passionne autant que la parasitologie; mais sans doute pour n'avoir pas été initié d'emblée à ses techniques, il n'obtient que des résultats partiels" e lo salutò come uno degli ultimi rappresentanti della " grande période " della scienza ottocentesca. Appare anche implicito talora un giudizio negativo sulla eccessiva vastità degli interessi del Nostro, sottintendendo che la quantità non potesse che andare a discapito della qualità.
Riteniamo opportuno però ricordare quanto scrisse il prof. Mantovani proprio riguardo al metodo: " La insufficienza dei mezzi tecnici a disposizione del Nostro lo hanno talvolta portato ad errori interpretativi. Ma anche in queste circostanze il Perroncito ha sempre fondato le proprie deduzioni sopra una vastissima serie di prove sperimentali così da offrirci ancora oggi la possibilità di individuare, attraverso la lettura dei protocolli delle esperienze, la vera interpretazione della natura e della origine di un processo morboso che al Nostro era sfuggita".
Se è vero che in molte sue pubblicazioni il Perroncito descrisse diffusamente le modalità delle sperimentazioni effettuate, appare ancor più grave la perdita, durante l'ultima guerra, di tutta la documentazione originale rimasta all'Università, che avrebbe certamente costituito una enorme miniera di dati tutti da riscoprire. E' tuttora invece conservata la vasta collezione parassitologica di oltre 700 esemplari.
La vita familiare gli riserbò alcuni grandi dolori: nel 1890 perse il secondogenito Mario, di sei anni, malato di tubercolosi e nel 1929, per la stessa causa, morì l'altro figlio Aldo, all'età di 45 anni. Aveva, questi, seguito una rapida e brillante carriera universitaria che l'aveva portato a divenire ordinario di Patologia Generale ed a succedere nella cattedra di Pavia a Camillo Golgi, premio Nobel per la medicina, di cui aveva sposato la figlia Anna.
Dopo la morte della prima moglie, il Perroncito si risposò con una egiziana di nome Mirte, ma rimase vedovo per la seconda volta. E' curiosa e tragica la vicenda legata all'eredità lasciata dalla seconda moglie: la nave che trasportava in Italia quei bauli che contenevano anche preziose azioni del canale di Suez, affondò e perì il giovane avvocato che si era recato in Egitto per curare l'operazione.
La poliedrica personalità del Perroncito trovò modo di affermarsi anche in altri campi della vita civile e culturale del suo tempo. Per molti anni fu sindaco di Viale d'Asti fino a divenire decano dei sindaci della provincia di Alessandria, che fino al 1935 comprendeva anche Asti. Venne anche eletto consigliere comunale a Torino, fu massone e presiedette nel 1918 il comitato per l'erezione a Torino del monumento a Mazzini.
Diede molte prove di generosità e nobiltà d'animo: offrì la " Villa Pasteur " di Cavoretto per ospitare i profughi ed i feriti dei terremoti di Messina e di Avezzano e, durante la prima guerra mondiale, la trasformò in un ricovero per figli di richiamati alle armi poveri. Di questa vicenda ci rimane la testimonianza di un breve articolo a firma Altea, apparso sul numero del 20 agosto 1915 della rivista "La donna" organo dell'opera femminile italiana per la guerra, in esso appaiono anche foto del professore dalla caratteristica lunga barba bianca, circondato dai bambini, nell'atto di ricevere nella sua villa un gruppo di importanti visitatori.
Ricordiamo ancora che nutrì sempre un grande amore per la letteratura classica, particolarmente dantesca e che fu presidente del comitato di Torino della società "Dante Alighieri".
Morto nel 1946 riposa nel cimitero di Pavia accanto al figlio Aldo; ormai rarissime sono le persone che ne serbano un ricordo personale e che, accanto alle memorie più ufficiali, possono ancora descriverne qualche tratto vivo ed umano quale il formidabile appetito o l'abitudine, mai abbandonata, di calzare d'inverno in qualsiasi occasione grossi zoccoli di legno o il carattere arguto e a tratti quasi fanciullesco di un uomo che aveva vissuto intensamente una esistenza davvero fuori dal comune.
(*) Testo pubblicato su cortese concessione di Marco Galloni.